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Domanda allo psicoterapeuta:


Dottore lei che sa tante cose della psiche può confermarmi se effettivamente c'è un fenomeno che porta la persona che rimprovera un'altra a provare gusto nel rimproverarla sempre perchè si sente autorizzata a farlo anche quando non ne ha il diritto? Esiste una sorta di piacere nel vedere la persona umiliata, può avercelo questo piacere nel rimproverare una persona? è un fenomeno così impossibile o esiste davvero? può farlo anche un genitore?

Risposta del Dott.Zambello: Si. Si chiama sadismo.


Aggiunto: Giugno 15, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buongiorno dottore,
sono un ragazzo ormai “grande” (devo compiere trent’anni), anche se io sento di non essere mai cresciuto davvero, sono solo invecchiato in questi anni. Ho sempre avuto problemi relazionali, che sono “esplosi” durante le scuole superiori, infatti, per riuscire a finire le scuole superiori, sono dovuto andare in una scuola privata in cui facevo lezioni quasi individuali (eravamo cinque alunni in classe) perché non riuscivo più a stare in una classe con tanti ragazzi. Dopo la maturità ovviamente non sono andato all’università perché avevo paura dei rapporti sociali e perché pensavo che avrei avuto successo lo stesso nella vita anche senza laurea (se potessi tornare indietro, ovviamente mi iscriverei all’università senza pensarci due volte). Dopo la maturità, mi sono progressivamente isolato dal mondo e dalla realtà (in questi undici anni ho avuto solamente due brevissime esperienze lavorative) e ovviamente la mia vita ora è a pezzi. Non lavoro perché non sono in grado e perché ho paura, non per mancanza di voglia, non so spiegare perché io non mi senta in grado di lavorare e perché abbia paura del lavoro ma mi sento una nullità in confronto agli altri. Esco pochissimo di casa. Non ho amici né rapporti affettivi. Non ho mai veramente vissuto, non ho mai avuto un gruppo di amici né fatto le tipiche esperienze adolescenziali. Non guido. Passo le mie giornate a vegetare tra computer, Internet e musica e fantasticando su una vita meravigliosa e di successo che ovviamente non ho; provo grande invidia e odio per le persone che mi sembrano più realizzate di me (come, ad esempio, i miei vicini di casa che, pur non essendo dei primari di ospedale o famosi avvocati, lavorano e si mantengono da soli: quando li incrocio per le scale o li sento che escono e rientrano in casa, nella mia testa auguro loro la morte perché provo per loro un odio immenso e vorrei vederli morti). In questi anni non ho costruito niente di niente e, se non ci fossero i miei genitori, io finirei sotto un ponte perché ovviamente non lavoro e sono terrorizzato dall’idea di lavorare, mi sento un buono a nulla, non so fare niente. I miei genitori sicuramente mi vogliono bene, ma non sono in grado di tirarmi fuori dalle sabbie mobili in cui sono immerso da undici anni; pur volendomi bene, l’unico modo che avrebbero di aiutarmi è di pagarmi una terapia, perché altro non possono fare (non per colpa loro: credo che siano delle brave persone, ma come genitori non sono stati molto bravi). Avevo grandi aspettative per la mia vita, pensavo che, in un modo o nell’altro, avrei avuto successo e sarei stato un “vincente”. Purtroppo, la realtà è il contrario: sono un fallito su tutti i fronti, sono uno sconfitto, uno scarto della società, mi sento un agnello in mezzo ai lupi, mi sento incapace di stare al mondo e di vivere. Ovviamente, spesso mi passa per la testa l’idea di farla finita ma la morte mi fa paura, oltre a non avere il coraggio di vivere, non ho il coraggio nemmeno di morire: sono un smidollato al cento per cento che campa sulle spalle dei genitori. Peraltro, la mia non è una famiglia ricca, ma una famiglia normale quindi sarebbe molto utile che io mi emancipassi dal punto di vista economico e non gravassi più sui miei famigliari, ma allo stato attuale delle cose, non ne sono in grado, non sono in grado di lavorare. Come le dicevo, a volte penso al suicidio, ma non essendo capace neanche di farla finita, purtroppo mi tocca andare avanti a vivere. E se sono “obbligato” a vivere (non avendo il coraggio di farla finita) io non voglio vivere una vita come quella che conduco adesso, io non voglio vivere una vita da fallito. Penso di essere un caso gravissimo e penso di avere bisogno di un aiuto “pesante”. Cercando su Internet, ho visto che nella mia città c’è uno psicoanalista che è anche psichiatra e pensavo di rivolgermi a lui, sperando che accetti di vedermi una sola volta a settimana, perché non posso permettermi economicamente di fare più sedute a settimana e, tuttavia, ho un disperato bisogno di essere aiutato, perché sto rischiando seriamente di buttare la mia vita, di ritrovarmi a ottant’anni nella stessa situazione di adesso, senza mai aver fatto nulla nella vita. Il pensiero del futuro mi terrorizza. Mi scuso per la lunghezza, ma la mia situazione è davvero disperata. Per favore, se può, mi dia un consiglio.
La ringrazio molto

Risposta del Dott.Zambello: Non riesco a capire le persone che raccontano di avere 30 anni e si sentono dei falliti. Lo dico perché anche io non ho fatto l'università fino a 27anni e poi ho trovato il tempo per laurearmi e fare tutto quello che volevo fare. Non sto dicendo che sia facile, dico che é possibile.
Chieda aiuto al collega terapeuta ma sopratutto la smetta di piangersi addosso.


Aggiunto: Giugno 15, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buonasera dottore ma nei centri antiviolenza curano solo chi è violento o anche chi è ha subito delle violenze psicologiche terribili per guarirli? Lo chiedo perchè sapevo che dentro ci sono degli psicoterapeuti. Grazie.

Risposta del Dott.Zambello: So che ci sono questi centri ma non so proprio come funzionino. Sicuramente ci saranno psicologi e psicoterapeuti. Credo però che il soccorso si muova su più piani: medico, legale, psicologico e assistenziale.


Aggiunto: Giugno 14, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buonasera Dottore ma un paziente che decide di iniziare a studiare la materia e di laurearsi, può diventare più bravo del suo psicoterapeuta?

Risposta del Dott.Zambello: É la speranza di ogni pasicoterapeuta che il suo paziente diventi più bravo di lui. Come, quella di ogni padre che il figlio diventi più bravo, più grande di lui.


Aggiunto: Giugno 13, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Egregio Dottore
ho sofferto nel corso della vita di vari episodi depressivi e sono stato in cura da psichiatra. Ho maturato l'idea di diventare a mia volta uno psicoterapeuta o un operatore nel campo della salute mentale. Lei cosa ne pensa?

Risposta del Dott.Zambello: Io ho fatto proprio quello che lei dice.


Aggiunto: Giugno 13, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buongiorno Dottore,
ho bisogno di un suo consiglio. Sono una ragazza di ormai quasi 35 anni e vivo ancora nella casa di orgine coi i miei genitori per vari motivi, principalmente economici e di lavori instabili. Questo mi crea molti problemi, perchè ho paura che sarei rifiutata da nuove amicizie che potrei fare, o soprattutto da persone di sesso maschile. Mi spiego: io ora sono single, ma quando mi capita di fare nuove conoscenze ho paura di essere derisa a dire di non vivere ancora in autonomia. secondo lei come mi dovrei comportare? A volte sono arrivata anche a dire bugie. La ringrazio Dottore cari saluti

Risposta del Dott.Zambello: Penso che ognuno deve raccontarsi per quello che é. A che le servirebbe un'amicizia che non l'accetta così cone è con la sua storia?


Aggiunto: Giugno 13, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buongiorno dottore,
Le avevo inviato una domanda qualche giorno fa, ma ci deve esser stato qualche problema perché non l'ho vista pubblicata.
Comunque, la mia domanda è questa:
Secondo Lei e la sua esperienza, qual è l'elemento, il fattore più importante affinché una psicoanalisi/psicoterapia funzioni e abbia un esito positivo sulla vita del paziente?

Risposta del Dott.Zambello: Non ho dubbi: che si sia realizzato un rapporto psicoterapeutico.


Aggiunto: Giugno 12, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buongiorno dottore... il mio pseudonimo, oltre che per strappare un sorriso, ha davvero un po' a che fare con ciò che è il mio dubbio. Ho terminato a gennaio una terapia di diversi anni, anche se la parola "termine" è un po' riduttiva. Molti argomenti e temi trattati ancora in po' mi frullano per la mente, ma riesco a gestirli più che in passato. La mia terapeuta vive in un paese vicino, che è stato zona rossa nell'emergenza pandemia e così un paio di volte negli scorsi mesi e poi in questi giorni ho pensato di scriverle via e-mail per avere sue notizie. Non sono le uniche mail che ho scritto, in tutti questi anni, anche a causa della lontananza e in concomitanza con un altro periodo in cui ho avuto problemi di mobilità, ma i toni e i contenuti, da quando la terapia è terminata, mi sembrano mutati. Prima le risposte erano stringate e fredde (sì, no, spostiamo, ne riparliamo in seduta, grazie, prego, arrivederci etc), oggi invece si tratta di vera e propria corrispondenza epistolare, quasi confidenziale. E mi chiedo allora, e lo chiedo a lei: questa maggiore scioltezza può preludere ad un rapporto fuori dal setting e valido anche nella vita reale? Perché non si dovrebbe, e quando è permesso? Nella mia immaginazione si potrebbe configurare un rapporto di tipo amicale, c'è una certa differenza di età ma molti interessi in comune(è anche in sospeso un aperitivo, in attesa che la situazione in Lombardia si stabilizzi). Ma se assecondassi questo cambiamento, per il futuro, qualora dovessi averne nuovamente bisogno, dovrei rivolgermi poi ad altro/a professionista? lei cosa ne pensa, dottore, come si comporterebbe in qualità di paziente? e in quella di medico? Il mio compagno, che in passato è stato in terapia (ma di coppia con la ex), è scettico e mi dice di lasciar perdere. Ma io non vedo perché, c'è un legame importante e non vorrei perderlo...

Risposta del Dott.Zambello: Come ho già detto, non esiste un setting, comportamento, giusto o sbagliato a priori. È giusto tutto ciò che favorisce la crescita del paziente.
Personalmente continuo a mantenere un rapporto squisitamente professionale con gli ex pazienti. Motivo: quello che dice lei, permettere al paziente di tornare quando lo desidera.


Aggiunto: Giugno 12, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile dottore, sono in terapia junghiana da circa 6 anni ed ho conseguito ottimi risultati, ma la strada e' ancora lunga e il percorso non e' terminato. La mia analista, dopo la sospensione dovuta all'emergenza Covid, si e' praticamente dileguata senza spiegazioni e questo suo comportamento sfuggente e disinteressato mi provoca una profonda ferita da abbandono, sicche' penso che il nostro rapporto, a questo punto, si sia irrimediabilmente deteriorato nel senso che, anche se mi proponesse di riprendere l'attivita', io non ho piu' motivazione e voglia di tornare da lei. Non ho nemmeno la determinazione per parlarle e chiederle conto del suo comportamento, perche' e' una ferita che mi fa troppo male, dal momento che (e lei dovrebbe ben saperlo...) si sovrappone a pregresse e piu' profonde ferite.
Le chiedo quindi: dopo tanti anni di analisi con un professionista, puo' avere senso ricominciare tutto daccapo con un altro? E, in caso positivo, i risultati acquisiti con la precedente analista dovrebbero essere rimessi in discussione oppure sono diventati dei dati acquisiti? Da un lato mi viene voglia di lasciar perdere tutto, ma dall'altro credo sarebbe un vero peccato non completare un percorso tanto importante e impegnativo che ha profondamente cambiato la mia vita.
...che fare?
La ringrazio dell'attenzione.

Risposta del Dott.Zambello: Le consiglio anzitutto di parlarle cpn la sua terapeuta, snche di questo disagio che prova.
Nel momento in cui continuasse la terapia con un altro terapeuta, nulla di quello che ha conquistato lo perderebbe. Le sue conquiste sono sue, personali. Il terapeuta é stato solo un enzima, ha favorito la crescita.


Aggiunto: Giugno 10, 2020
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Domanda allo psicoterapeuta:


Innanzitutto GRAZIE per la Sua risposta. Ero già tentata di parlare in terapia di questo mio problema e, a maggior ragione adesso che anche Lei in qualche modo mi consiglia in tal senso, sono proprio convinta che lo farò presto... Perché mi "disturba" aver scoperto queste fragilità nel mio dottore? (Me lo ha chiesto Lei e le rispondo) Non lo chiamerei "disturbo"... ma forse è un po' un rammarico. Tante volte ultimamente ho parlato con lui delle mie angosce di perdita e di morte, se allora forse anche solo una volta avesse detto "è successo anche a me", "lo provo anch'io", quanto sollievo ne avrei tratto! E invece ero lì ad osservare una persona che sembrava estranea a queste cose e mi faceva sentire ancora più sfortunata, ancora più sola. Forse questo mio volergli dire tutto nasce anche da questo, forse è un po' un (arrogante? umano? naturale?) bisogno di fargli sapere che siamo tutti sotto lo stesso cielo e che sentirci accomunati nel dolore può essere una strada per superare tante angosce. Anche questo, ovviamente, glielo dirò. E che il Cielo me la mandi buona.

Risposta del Dott.Zambello: Ogni terapeuta istaura il setting che più gli corrisponde. Lei è libera di dire quello che vuole, anche su questo tema ma, deve accettare che il suo terapeuta abbia il suo metodo.


Aggiunto: Giugno 10, 2020
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Medico psicoterapeuta e psicoanalista


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